In Premio Strega/ Recensione

Sillabari – Goffredo Parise

Sillabari – Goffredo Parise
Adelphi Edizioni

Avvertenza
Nella vita gli uomini fanno dei programmi perché sanno che, una volta scomparso l’autore, essi possono essere continuati da altri. In poesia è impossibile, non ci sono eredi. Così è toccato a me con questo libro: dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.
Gennaio 1982

Poesie in prosa, è l’esatta definizione per i racconti raccolti nei Sillabari di Goffredo Parise. Cinquantaquattro racconti, scritti fra il 1972 e il 1982, che, semplicemente, narrano le cose del mondo.

L’erba è verde: origini dell’opera

Nello spiegare le origini della sua opera, Parise racconta che un giorno, verso la fine degli anni sessanta, vide in una piazza un bambino con in mano un sillabario. Avvicinandosi riuscì a leggerne una frase, “L’erba è verde”: una frase semplice, essenziale, come la vita, cosa che con la maturità spesso viene dimenticata.

Nasce così in lui l’idea di scrivere questa serie di racconti sottoforma di Sillabario, un vero e proprio dizionario in ordine alfabetico, che narrassero ogni aspetto della vita stessa: l’amore, l’amicizia, la dolcezza, la felicità, ma anche la fame, la malinconia, l’odio.

I primi racconti (da Amore a Famiglia) furono pubblicati sul Corriere della Sera fra il 1971 e il ‘72; una seconda serie fu invece pubblicata fra il 1973 e il 1980, per poi essere riuniti in un’unica raccolta nel 1984.

Il suo progetto, però, si ferma alla lettera S – con il racconto Solitudine – perché, come egli stesso spiega nella sua avvertenza, la poesia a un certo punto lo ha abbandonato.

Raccontare poesie 

Parlando dei Sillabari, infatti, non si può non parlare di poesia: ogni racconto evoca un’atmosfera onirica, reale e surreale al tempo stesso, lasciando in alcuni casi quella sensazione di non finito che lascia tutto il resto alla nostra immaginazione.

Eppure i vocaboli del suo dizionario non sono per nulla complicati: si tratta di sentimenti, luoghi e cose che fanno da comune denominatore alla vita di ognuno. Ma la narrazione di Parise rende quella che dovrebbe essere – anzi, che è – l’atmosfera della vita, evocativa, carica di significato: attraverso un racconto di poche pagine riesce a rivelare quell’idea astratta, inconscia, innata, su un particolare sentimento, luogo o cosa che viene descritta; al contempo però, fa emergere dagli stessi esiti inaspettati, dandoci così la possibilità di osservare la realtà da prospettive diverse e non convenzionali.

“La pietra filosofale del raccontare”

Non per niente il saggista e critico Cesare Garboli (1928-2004) ne parla come di “racconti virtuali, in cui Parise distilla la pietra filosofale del raccontare. Ma non racconta, fa qualcosa di più. Invoglia a pensare che il mondo sia raccontabile, e che la sua raccontabilità sia una meraviglia da scrutare attraverso un foro minuscolo.” (da Cesare Garboli, da Vita di Parise in Pianura Proibita, Milano, Adelphi, 2002.)

L’autore Goffredo Parise

Vincitore del Premio Strega del 1982, Parise è già uno scrittore maturo al tempo dei Sillabari e raggiunge con questi il punto più alto della sua letteratura.

Un insieme di opere d’arte 

Armonia e leggerezza, realtà e sogno allo stesso tempo, sono le caratteristiche che – a mio parere – meglio descriverebbero l’evocativa atmosfera dei suoi racconti: non si può non riconoscere del vero in essi, così come non si può rimanere stupiti, in positivo o negativo, di fronte a un finale che lascia alla fantasia del lettore un margine più ampio. Ogni racconto risulta così essere un’opera d’arte, diversa dalle altre per tema ed emozioni suscitate, per lo stile e i colori che la dipingono, ma sempre degna di essere esposta.

E come sia riuscito a creare questa sintonia ce lo spiega proprio lui:

Per scrivere bisogna trovare lo stile come si trovano senza difficoltà le note in un pianoforte, in un particolare stato animo, che non è la felicità, ma nemmeno l’infelicità. Un limbo, di lieve e soffusa esaltazione, in cui, nel suo complesso, ti piace la vita e ne hai al tempo stesso nostalgia.

Per saperne di più:
  • Vi segnalo questo documentario su RaiPlay, per capire di più l’autore e la sua opera. Clicca qui!