In Recensione

L’Italia Profonda – Arminio, Ferretti

L’Italia Profonda
Arminio – Ferretti
Gog Edizioni

C’è un’Italia assopita che non è quella delle grandi città, né quella dei borghi patinati che vediamo sui dépliant turistici. C’è un’Italia che non è Roma o Milano, né tantomeno Civita di Bagnoregio o la costiera amalfitana. C’è un’Italia che non sta sotto i riflettori ma se ci capita è a causa di qualche catastrofe naturale. C’è un’Italia che rischia l’estinzione, che è silenziosa, disabitata: è l’Italia dell’entroterra appenninico, delle zone collinari e pedemontane, dei piccoli borghi abbandonati, ai margini del commercio, dell’industria, della cultura.”

Ed è l’Italia che ci viene raccontata da Franco Arminio, poeta e paesologo, e Giovanni Lindo Ferretti, cantore e scrivano, montano italico cattolico romano come egli stesso si definisce –, noto per il suo passato come voce della band CCCP.

Da nord a sud

Due voci distinte, che ci raccontano quell’Italia nascosta da nord – da Cerreto Alpi, paese natale di Ferretti – a sud – Bisaccia, in cui Arminio vive da sempre.

Il piccolo pamphlet, che ha origine da una conversazione pubblica tenutasi a Palazzo dei Piceni a Roma, presenta i punti di vista dei due scrittori – dalle atmosfere oniriche quello di Arminio, più crudo quello di Ferretti – sulla situazione della maggior parte (se non tutti) i paesi dell’Appennino italiano.

Fuggire, tornare 

Paesi da cui si fugge o in cui si ritorna – come in questo caso – che si osservano nella loro desolazione, e di cui proprio quella desolazione si apprezza, in certi casi. Paesi nati con la cultura della produzione agricola, dell’artigianato, del rispetto delle tradizioni, sventrati dall’avvento dell’industria, dalla sostituzione del cavallo col treno a vapore.

Paesi devastati dalle città, che hanno attirato a sé la montagna e l’hanno poi derubata di tutto, lasciandovi solo ciò che ormai non serve, perché non può in alcun modo giovare all’attuale economia.

Ed entrambi gli autori, nati verso la metà del ‘900, hanno assistito a questa mutazione: terreni incolti, popolazione vecchia, strade vuote, nuove case costruite ma mai abitate, e cimiteri sempre più pieni.

Giovanni Lindo Ferretti

Nato tra i morti sui monti vivo sui monti tra i morti e non c’è lama che possa recidere la languida catena generazione su generazione. – Ferretti

Paesi la cui massima aspirazione è, ormai, diventare SITO UNESCO, per riacquistare in qualche modo quella gloria perduta, strappata via dalla città che con la produzione industriale ha messo tutto alla portata di tutti.

Riflessioni dure ma reali

Sono delle riflessioni dure e, purtroppo, veritiere, quelle maturate da Franco Arminio e Giovanni Ferretti. Tornare a casa, camminare per strada, guardarsi intorno e non vedere nessuno, vivere in un silenzio assordante interrotto soltanto dal soffio del vento. Sono purtroppo sensazioni che io stessa mi trovo a provare ogni volta che faccio ritorno in patria – una cittadina calabrese ai piedi della Sila.

C’è una soluzione?

Se c’è una soluzione? Così come tutti i problemi riguardanti il sociale, “anche senza soluzioni plausibili le cose da fare sono tantissime. Quelle essenziali si riducono a gesti e azioni quotidiane.”- suggerisce Ferretti.

E sebbene al giorno d’oggi anche solo immaginare di tornare a vivere in montagna possa risultare “antisociale e persino arrogante” – come afferma lo stesso Ferretti – bisogna avere la consapevolezza che quell’immensità che ci osserva dall’alto è sempre li, pronta ad accoglierci, pronta ad ospitare chi è di passaggio, chi non se n’è mai andato, chi un giorno se ne andrà.

Non ignorare l’esistenza di queste realtà, che sono ben lontane dall’idea che molti di noi abbiamo di tutti quei borghi ormai diventati villaggi turistici. Sono realtà che esistono in silenzio, perché hanno perso la forza di farsi udire da qualcuno.

Franco Arminio

I paesi devono riprendere a usare le mani. Fare buoni prodotti da mangiare, buone case da abitare. Farsi buona compagnia. Accogliere. Non portare il broncio. Credere che ovunque è possibile una grande vita, ma se la fai nel tuo paese non stai facendo solo la tua vita, stai tenendo in vita anche gli altri, anche se non lo sanno. – Arminio

Sosteniamole

Come ho già detto, questo breve pamphlet mi ha riportato alla mente sensazioni non nuove: in soli sette anni che non vivo più nel mio paese, ho visto quello stesso processo di cambiamento di anno in anno, di Natale in Natale. Strade sempre più vuote, ristoranti e locali che chiudono, ville e giardini comunali abbandonati…

Spesso mi ritrovo a ripensarci, a parlarne con gli amici, continuandomi a chiedere perché, continuando a sperare che sia una cosa temporanea, che un giorno le cose andranno meglio.

Ma come? È sempre quello il quesito principale, certo finora nessuno che avesse l’autorità di farlo è riuscito a cambiare le cose. O se lo ha fatto, è stato in peggio.

Ma non arrendiamoci. Continuiamo a tornare a casa, invitiamo amici, andiamo a comprare del buon vino nostrano, apprezziamo chi quel paese un tempo lo ha fatto brillare.

Ricordiamo queste piccole realtà. E sosteniamole.