Un romanzo sui “tirailleurs sénégalais”
«Mi sono chiesto, esistono lettere simili scritte da tiratori senegalesi? Ho fatto ricerche e ho trovato solo documenti amministrativi su questioni tecniche o burocratiche, richieste di pagamenti in ritardo, cose così. Ho voluto ritrovare attraverso la fiction la psicologia di un soldato senegalese, un uomo che spesso viene dalla campagna africana e finisce in una guerra industriale, come dice Blaise Cendrars.»
È così che David Diop spiega, in un’intervista comparsa il 21 aprile 2019 su «la Lettura», ciò che lo ha spinto a raccontare questa storia.
Più che fratello
Fratelli d’anima racconta la storia di un uomo, Alfa Ndiaye, e di un’amicizia, quella con Mademba Diop.
Durante la Prima Guerra Mondiale, non sappiamo nello specifico dove e quando, Alfa si trova ad assistere alla morte del suo amico d’infanzia, il suo “più che fratello” Mademba. Quest’ultimo, ferito e agonizzante, lo supplica di dargli il colpo di grazia per porre fine alle sue sofferenze. Per tre volte Alfa riceve la sua supplica, e per tre volte si rifiuta di ascoltarla.
Da questo momento, il soldato Alfa è cambiato: terrorizza, sventra, sgozza i suoi nemici con gli occhi azzurri senza alcuna pietà e, infine, usa il machete per mozzare loro una mano, che riporta in trincea come trofeo di guerra.
Considerato dai suoi compagni un pazzo, uno stregone con in mente chissà quale piano malvagio, Alfa viene infine allontanato dall’esercito.
Alfa Ndiaye e il suo passato
Attraverso delle sedute con il dottor François, Alfa ripercorrerà alcuni degli eventi più significativi della sua vita: la scomparsa della madre e la successiva nascita di quell’amicizia con Mademba, che lo aveva accolto nella sua famiglia, e aveva condiviso con lui tutto, anche l’arruolamento come tiratore dell’esercito.
Un rapporto che è più di un’amicizia, un immedesimarsi l’uno dei panni dell’altro, un fondersi l’uno con l’altro, è la storia di Alfa e Mademba che l’autore ci vuole raccontare.
Un ritratto psicologico
Il suo intento, infatti, è andare oltre la semplice narrazione degli orrori della guerra, facilmente reperibili nei libri di storia. L’autore costruisce in Fratelli d’anima il ritratto psicologico di un soldato, di un tiratore senegalese, con il fine ultimo di dare voce a quella parte dell’esercito finora per niente – o quasi – considerata dai testi letterari.
La consapevolezza dell’autore che i soldati reclutati in Africa siano considerati, sia dalla parte francese che dalla parte tedesca, come degli esseri orribili e spietati, e il fatto che lo stesso Alfa finisca per agire come tale, non è un caso:
« Ho costruito un personaggio che decide di stare al gioco, rivendica quei pregiudizi, agisce in modo consapevole e così facendo acquisisce paradossalmente una forma di libertà.»
Le azioni del soldato Alfa Ndiaye sono giustificate dal suo vissuto, che quasi non si riesce a penalizzarlo. È diventato ciò che le circostanze lo hanno fatto diventare, e il suo legame con il suo amico più che fratello è presente, forte, rappresentando ciò che di umano gli resta durante tutta la narrazione.
Già vincitore del premio Goncourt des Lycéens e il 12 maggio anche vincitore del Premio Strega Europeo 2019, il romanzo di David Diop riesce perfettamente nel suo scopo di dipingere il ritratto di un uomo, prima che di un soldato. E vi riesce attraverso la narrazione della sua vita difficile, attraverso una lingua – il francese – che Alfa non conosce e rende la scrittura volutamente ripetitiva ma non per questo priva di un suo ritmo; l’autore riesce, in poche parole, a mettere in luce una parte di chi ha fatto la storia ma dalla storia è stato finora oscurato, restituendogli una voce, un nome, una vita.