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Va tutto bene, signor Field – L’esordio nella narrativa di Katharine Kilalea

A nessuno importa niente delle difficoltà e dei dolori degli altri, pensai. Le difficoltà e i dolori degli altri sono noiosi.

Perdersi non significa non ritrovarsi. Ritrovare se stessi è possibile attraverso le piccole cose, attraverso piccoli gesti che per noi significano qualcosa.

Ed è la consapevolezza a cui giungerà il signor Field, un ex pianista che, in seguito a un incidente ferroviario, si trasferisce da Londra nella Casa per lo Studio dell’Acqua, a Città del Capo.

La Villa Savoye

Le Corbusier, Villa Savoye, Poissy (Francia)

La casa era stata progettata dall’architetto Jan Kallenbach su imitazione della Villa Savoye di Le Corbusier, e rimane impressa nella mente del signor Field fin da quando, proprio durante quel tragico viaggio in treno, ne vide un annuncio sul giornale.

Si trasferisce lì da solo, in attesa che la moglie Mim lo raggiunga, ed è lì che incontra per la prima volta la vedova Hannah Kallenbach, che – così come la casa – in seguito diventerà per lui una vera e propria ossessione.

Una casa che “separa” invece di “unire”

Ben presto, infatti, un’intensa solitudine sopraggiunge per affliggere il signor Field, rimasto solo lì, in quella villa che tanto lo aveva colpito, e dove vive circondato dal suono delle onde e dal rumore dei lavori in corso nel cantiere di fronte; le sue condizioni, la sua perdita di sonno, i dolori continui del suo corpo, il timore del silenzio, lo porteranno a intrattenere conversazioni immaginarie con la Kallenbach, a seguirla fino a casa sua, a spiarla.

Non ha più voglia di suonare il pianoforte; non ha il coraggio di capire il perché dell’abbandono di sua moglie, che sparisce senza apparenti motivazioni; non riesce a provare emozioni, le cose che lo circondano non riescono a trasmettergli emozioni.

Un viaggio nella mente del signor Field

Il suo unico interesse, la sua unica abitudine è, ormai, quella di appostarsi sotto la finestra di Hannah Kallenbach, origliare le sue conversazioni con un uomo dall’identità sconosciuta. E portare poi con sé quella voce fino a casa, per lasciarsi in qualche modo guidare, consigliare, per venire a capo di qualcosa attraverso le conversazioni con lei.

Tutto ciò che sappiamo, lo sappiamo attraverso le parole del protagonista: conosciamo la sua visione delle cose, le motivazioni che lo portano ad agire a quel modo, a spingersi quasi ogni giorno sotto casa Kallenbach senza fare null’altro. E in qualche modo riusciremo così a compatirlo, a comprenderlo: attraverso la mente e le riflessioni del protagonista, l’esordiente sudafricana Katharine Kilalea ci trasporta in un viaggio colmo di tristezza, solitudine, rassegnazione. Ma ci mostra anche come quel viaggio possa cambiare rotta, a modo suo e da un momento all’altro.

L’ispirazione

L’autrice Katharine Kilalea

L’autrice Katharine Kilalea, già nota nel Regno Unito – dove vive – come poetessa, grazie alla raccolta One Eye’d Leigh (2009), esordisce nel mondo della narrativa nel 2018, per essere pubblicata in Italia da Fazi Editore, da oggi in libreria (27 agosto 2020).

In un’intervista, dichiara di essersi lei stessa ispirata alla villa dell’architetto svizzero Le Corbusier, ma non perché ne fosse rimasta affascinata, anzi: la ritiene “perversa”, ordinaria, per niente attraente. Ed è per questo che trascorre un anno a scrivere una storia ispirata proprio a quell’edificio, come per mettere nero su bianco un qualche sentimento che non sarebbe riuscita a descrivere altrimenti, proprio per la perversione di quest’ultimo.

Ispirata inoltre da “La montagna incantata” di Thomas Mann (1924), l’autrice in Va tutto bene, signor Field, crea un romanzo psicologico, un romanzo poetico. Le visioni parziali che abbiamo sulla vita del protagonista sono tali perché è così che lui ce le racconta; le sue emozioni di indifferenza e apatia, la sua paura, il suo mondo – perché è come se vivesse letteralmente in un altro mondo – diventano emblema di una mente passiva, rassegnata, svuotata.

Perché la sensazione che qualcosa mancasse dentro di me, che mi mancasse qualcosa, non mi causò vergogna o rimpianto. Era una sensazione feconda.

Nostalgia, intensità

Ciò che vi aspetta, se leggerete questo romanzo, è una lettura nostalgica, malinconica, triste. È tutto questo, ma è anche intensa, sentimentale, coinvolgente. Perché insieme al signor Field, anche noi lettori riusciamo a trasferirci lì, in quella casa fatta di scalinate, pilastri e ampie finestre, situata in alto sul mare, ad ascoltarne i suoni, a viverne le emozioni.

Ho apprezzato molto la scrittura dell’autrice, il modo in cui riesce a raccontare le emozioni di un uomo solo, che sente di aver fallito, di non poter più farcela: perché nel suo essere onirica, nel suo essere surreale, è una situazione possibile, e molto più realistica di quanto sembri.

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