“Acqua per favore.” Parole così semplici ma così indelebili. Parole uscite dalla bocca di chi, quel 6 agosto 1945, a stento riusciva a respirare, col corpo colmo di ustioni, con quella luce accecante negli occhi. Parole che Hara Tamiki (1905-1951) non riesce a dimenticare. Che nessuno, fra i sopravvissuti, può dimenticare. Essere un sopravvissuto, un hibakusha, ha causato nell’autore, come in tutte quelle persone nella sua stessa condizione, senso di colpa e spaesamento: perdere tutto, all’improvviso, non poter far nulla.…
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