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L’incubo di Hill House – Shirley Jackson

L’incubo di Hill House, Shirley Jackson
Adelphi Edizioni

Nessun organismo vivente può mantenersi a lungo sano di mente in condizioni di assoluta realtà; perfino le allodole e le cavallette sognano, a detta di alcuni. Hill House, che sana non era, si ergeva sola contro le sue colline, chiusa intorno al buio; si ergeva così da ottant’anni e avrebbe potuto continuare per altri ottanta. Dentro, i muri salivano dritti, i mattoni si univano con precisione, i pavimenti erano solidi e le porte diligentemente chiuse; il silenzio si stendeva uniforme contro il legno e la pietra di Hill House, e qualunque cosa si muovesse lì dentro, si muoveva da sola. 

Uno dei “due unici grandi romanzi sul soprannaturale degli ultimi cent’anni”

L’incubo di Hill House, pubblicato da Shirley Jackson nel 1959, è considerato uno dei capolavori della letteratura horror, apprezzato e lodato da autori come Stephen King che lo definisce – insieme a Il giro di vite di Henry James – “gli unici due grandi romanzi sul soprannaturale degli ultimi cent’anni”. 

Il romanzo è tornato recentemente in voga grazie alla serie tv diretta da Mike Flanagan e targata Netflix, The Haunting of Hill House, che prende ispirazione da esso ma che stravolge (quasi) del tutto la storia.

I protagonisti della serie tv Netflix

John Montague e i suoi “prescelti”

Ma partiamo dal romanzo: il professor John Montague decide di condurre delle ricerche sul paranormale proprio a Hill House, nel paesino di Hillsdale e, per farlo, contatta una serie di persone in qualche modo esperte nel settore.

Coloro che accetteranno e si recheranno effettivamente in quella vecchia casa fra le colline, sono Eleanor Vance, Theodora e Luke Sanderson, futuro erede della casa.

Eleanor, trentaduenne che ha trascorso gran parte della sua vita ad assistere la madre malata, è la prima ad arrivare: sola in quell’ambiente tetro, dall’arredamento strambo, e dai misteriosi e spaventati guardiani, comincia a pensare di aver fatto uno sbaglio, a provare ribrezzo per la casa, a voler fuggire.

Theodora, Theodora e basta, è una giovane bella e sicura di sé, entusiasta del progetto a cui sta per partecipare, che sarà ammirata e allo stesso tempo odiata da Eleanor.

Luke, infine, viene convocato in quanto erede dell’attuale proprietaria, sua zia, la quale accetta di affittare la casa solo se presente un membro della famiglia.

Fin dalla prima notte che la piccola squadra trascorre lì, si accorge di non poche stranezze all’interno della casa: strani rumori, angoli più freddi rispetto ad altri, porte che si chiudono da sole.

Ma ciò che più stupisce il professore, Eleanor, Theo e Luke è la pianta stessa di Hill House: gli angoli sono imperfetti, i corridoi lunghissimi, le porte numerose, le mura in pendenza. Ma, stando alla conoscenza del professor Montague, questi dettagli non sono altro che il frutto della bizzarra creatività di Hugh Crain, il suo fondatore.

Non proseguirei molto con la trama altrimenti correrei il rischio di rivelare il finale; sì, perché oltre a qualche momento di suspense dovuto a degli strani colpi sulla porta o a delle scritte apparse improvvisamente sui muri, nel romanzo non accade molto.

Incipit impeccabile, conclusione affrettata 

L’incubo di Hill House parte a mille con il suo memorabile incipit – che ho citato all’inizio della recensione – con le descrizioni della casa, dei suoi sfortunati proprietari, degli inspiegabili fenomeni a cui i protagonisti assistono. Ma si resta sempre in attesa di qualcosa di più, di una svolta: in apparenza, questa potrebbe coincidere con il repentino cambiamento dello stato d’animo di Eleanor, che si sente improvvisamente legata all’angustia di quella casa. Ma in realtà, di fatti non ne succedono molti.

Shirley Jackson

La scrittrice Shirley Jackson, infatti, vuole trasmettere nel suo romanzo la capacità che la casa possiede di accogliere e trattenere chi ci vive o chi è anche solo di passaggio, più che raccontare la storia di una casa infestata. La maestosità di Hill House sta nella sua architettura, nel percorrere quei corridoi infiniti e ritrovarsi al punto di partenza, nel fascino che suscita in chi la visita e in chi ne legge la storia.

È vero che, dopo aver visto la serie televisiva, leggere questo romanzo può lasciare un po’ delusi: alle peripezie che capitano ai fratelli Crain sullo schermo si contrappone una storia statica, priva di particolari avvenimenti e che si conclude in maniera apparentemente frettolosa.

Scrittura persuasiva

In conclusione – e premettendo che L’incubo di Hill House è il primo approccio per me con la Jackson, ma sicuramente non l’ultimo – posso dire che sì, sicuramente vale la pena leggerlo. Fino ad almeno metà romanzo la storia affascina, incuriosisce, prende. Non posso dire lo stesso della conclusione che, come già detto, avviene in maniera piuttosto veloce, facendo crollare le aspettative – forse un po’ alte – che la prima metà del romanzo riesce a creare.

Ma, d’altro canto, è di letteratura che stiamo parlando, e in questo il talento della Jackson è indiscusso: la scrittura raffinata e i dettagli che la caratterizzano riescono a convincere che quella casa fra le colline di Hillsdale esista davvero, mentre la descrizione di quell’architettura stramba riesce nel suo intento di far credere che non siano i fantasmi ad abitarla, ma che sia la casa stessa a essere viva.

L’occhio umano non può isolare l’infelice combinazione di linee e spazi che evoca il male sulla facciata di una casa, e tuttavia per qualche ragione un accostamento folle, un angolo sghembo, un convergere accidentale di tetto e cielo, facevano di Hill House un luogo di disperazione, tanto più spaventoso perché la facciata sembrava sveglia, con le finestre vuote e vigili a un tempo e un tocco di esultanza nel sopracciglio di un cornicione.