In Cina e Giappone in Libri/ Recensione

La croce buddista, Jun’ichirō Tanizaki

Il titolo La croce buddista (Manji, 1931) si riferisce a un simbolo del buddismo atto a indicare “tutte le cose, l’infinito” che si manifesta nella coscienza di un buddha, ed è per questo che solitamente viene raffigurato nelle sculture all’altezza del cuore.

Ma nel romanzo di Tanizaki – pubblicato in Italia da Guanda Editore – , il buddismo, c’entra poco o nulla. L’autore, infatti, fa uso di questo simbolo come richiamo al contenuto del romanzo: triangoli amorosi, amori impossibili, bugie e sotterfugi che tornano e si ripetono, ogni volta da una diversa prospettiva.

Qualche accenno di trama


Sonoko, donna sposata ma scontenta del suo matrimonio quasi totalmente privo di affetto, racconta in prima persona le peripezie da lei vissute dopo la conoscenza della bella Matsuko: le due si incontrano a un corso di pittura e, iniziando a frequentarsi, tramutano la loro amicizia in una relazione.

Ma non finisce qui: Matsuko, all’apparenza coinvolta dalla passione per la sua donna, nasconde in realtà i sentimenti provati anche per qualcun altro: per un uomo, Watanuki.

Ed ecco che ha inizio tutta una serie di menzogne, verità svelate solo in parte, patti firmati con il sangue per poi essere infranti: episodi questi, che ritornano quasi come in sequenza, come un cerchio che gira.

Eppure, neanche le bugie di Matsuko, il suo egocentrismo, il suo bisogno di aver concentrate su se stessa gli occhi e l’affetto di tutti, riusciranno a smuovere la protagonista dal suo bisogno di vederla, di stare con lei, fino alla fine. È dietro la sua apparenza di donna dolce e amorevole che si nasconde, in realtà, una personalità determinata, volitiva, disposta a tutto per non lasciarsi scappare le sue “prede”.

E tutto questo ci viene narrato dalla voce di Sonoko che decide, alla fine, di raccontare ogni cosa al “Maestro” – di cui però, non sappiamo nulla. Ciò che sappiamo, sin dall’inizio, è l’epilogo di tutta questa intricata storia: dopo numerose minacce di suicidio, un morto c’è.

La fragilità dei personaggi

Ogni episodio descritto ne La croce buddista farà storcere il naso al lettore; ogni atteggiamento assunto, ogni decisione presa dalla protagonista lo porteranno a chiedersi il perché di tutto questo.

Ma la verità sta nel carattere stesso dei personaggi che Tanizaki dipinge: la loro debolezza sta nell’incapacità di agire razionalmente di fronte ai propri sentimenti. O si ha tutto, o niente, non esistono mezze misure; non c’è resa, non c’è perdono. E, forse, neanche amore: questo si trasforma, nel romanzo, in una passione che strugge, che non accetta mezzi termini. Si prende tutto, e non lascia nulla.

Impressioni

Nonostante la trama intricata e i continui colpi di scena, Tanizaki riesce, con la sua scrittura, a far emergere la fragilità dei personaggi e a coinvolgere a pieno il lettore nelle loro vite. L’unica pecca è che potrebbe, in alcuni punti, risultare in qualche modo ripetitivo data la sua complessità e gli episodi narrati da punti di vista diversi.

Ma questa è solo una mia impressione: non mi sento di dare un giudizio negativo su questo libro, che anzi mi ha coinvolto e stupito per la sua geniale struttura.

Per saperne di più…
  • L’autore iniziò a scrivere il romanzo nel linguaggio standard Tōkyō, con il quale apparvero i primi episodi durante la sua serializzazione. In seguito, egli decise di cambiarlo e fare uso del dialetto di Ōsaka: in tal modo, non solo sarebbe stato più coerente con l’ambientazione del romanzo, ma avrebbe anche reso al meglio l’indolenza della classe alta della città. Quando venne pubblicato integralmente in volume, Tanizaki uniformò in tutto il romanzo l’uso del dialetto di Ōsaka.
  • La croce buddista fu oggetto di diverse trasposizioni cinematografiche. Tra queste, il film italo-tedesco “Interno berlinese” diretto da Liliana Cavani nel 1985, che ha spostato l’ambientazione in Germania.