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Gli indifferenti – Alberto Moravia

Gli indifferenti – Alberto Moravia

Siamo tutti uguali […] fra le mille maniere di fare un’azione, scegliamo sempre istintivamente la peggiore.

Una famiglia in declino

Protagonisti del primo romanzo di Alberto Pincherle – che userà poi il cognome Moravia ricavandolo dalla nonna paterna – sono i membri della famiglia medio-borghese degli Ardengo: la vedova Mariagrazia e i suoi figli poco più che ventenni, Carla e Michele.

Residenti in una villa e ormai costretti a campare di rendita, questi sono soggiogati dall’arrivista senza scrupoli Leo Merumeci, il quale intratteneva, in passato, una relazione con la vedova Ardengo, al solo scopo di avere tra le sue mani quella preziosissima villa.

Il rapporto ormai agli sgoccioli fra Mariagrazia e Leo è caratterizzato da gelosia e risentimento, da parte della donna, nei confronti di una ex amante del Merumeci: Lisa, un tempo molto amica di Mariagrazia, che ora però nutre dei sentimenti per il figlio, Michele.

La gelosia di Mariagrazia, quindi, è totalmente immotivata. Nel mirino dell’ambizioso Leo, infatti, ora vi è qualcun altro: la giovane e ingenua Carla.

Gli indifferenti

Ad accompagnare questi complessi intrecci amorosi e non, vi è un sentimento comune ai cinque personaggi: l’indifferenza, appunto. L’indifferenza portata dalla noia, dalla superficialità di una vita basata sui cliché del ceto medio, in cui tutto si farebbe pur di non perdersi l’ultima festa in maschera o una serata a teatro.

L’angoscia l’opprimeva: avrebbe voluto fermare uno di quei passanti, prenderlo per il bavero, domandargli dove andasse, perché corresse a quel modo; avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, fra la gente che ne aveva uno. “Dove vado?”; un tempo, a quel che pareva, gli uomini conoscevano il loro cammino dai primi fino agli ultimi passi; ora no; la testa nel sacco; oscurità; cecità; ma bisognava pure andare in qualche luogo; dove?

Tutto, anche ignorare tutto ciò che sta accadendo intorno. Moravia, infatti, non dipinge per i suoi personaggi alcuna caratteristica psicologica: essi ci appaiono quasi come dei burattini, preoccupati solo di problemi di facciata, trascurando quasi del tutto il vero perno delle cose e non cercandone, quindi, una soluzione. Continuano a vivere come se niente fosse, cercando solo di mantenere agli occhi degli altri una certa serenità.

“Penso” rispose in tono profondo chiudendo gli occhi “quale debole sforzo basterebbe per essere sinceri, e come invece si faccia di tutto per andare nella direzione opposta.”

Tentare di reagire, serve?

L’unico a rendersi conto del degrado a cui la propria famiglia sta andando incontro è Michele. In seguito a vari diverbi con Leo, a cui la madre si era sempre opposta facendogliene una colpa, egli decide di porre fine a quella subdola sottomissione, soprattutto dopo esser venuto a conoscenza della relazione clandestina fra Leo e sua sorella Carla.

Progetta, così, l’omicidio di Leo; ma anche questo tentativo di ribellione si rivelerà vano: si accorge troppo tardi di avere la pistola scarica, e rinuncia ancora una volta a quella forza di reagire, andata man mano esaurendosi.

Maschere e teatro

Gli indifferenti, scritto da un Moravia appena ventiduenne, altro non fa se non un quadro della borghesia del primo ‘900. Una borghesia annoiata, che non riesce – o non vuole – a interessarsi ad alcunché. L’indifferenza di quella classe sociale nei confronti della vita vera, delle relazioni umane, di qualsiasi cosa che non sia la maschera da indossare quando si esce di casa.

Alberto Moravia

È questo che risulta dal romanzo di Moravia: i personaggi sono ridotti a delle mere maschere, non sono dei vinti, perché non hanno mai combattuto, né hanno mai reagito.

Delle vere e proprie maschere pirandelliane, si potrebbe dire. D’altra parte, un riferimento a Pirandello si ha anche all’inizio del romanzo, quando Carla afferma che non le «sarebbe dispiaciuto andare a vedere Sei personaggi della compagnia di Pirandello». Lo stesso titolo del romanzo avrebbe dovuto essere, inizialmente, Cinque personaggi e due giorni, a dimostrazione del suo interesse per il teatro, e della sua intenzione di creare “un dramma travestito da romanzo”.

«Entrò Carla»: così si presenta l’incipit del romanzo. L’intera narrazione si svolge infatti in ambienti chiusi, con i personaggi che entrano e che escono di scena allo stesso modo di come farebbero su un palcoscenico. Un dramma dove non vi sono, tuttavia, eroi che attraverso le loro azioni migliorano lo stato delle cose: non vi sono eroi, semplicemente, perché nessuno – fatta eccezione per Michele – agisce, tutti assistono inermi alla vita che gli scorre davanti, lasciando intuire al pubblico – in questo caso, ai lettori – quale sia il nocciolo della questione. E lasciando intuire, inoltre, la loro incapacità – o, forse, mancanza di volontà – di raggiungerlo.