Febbre. Febbre è quella che viene a Jonathan, l’autore, un giorno di gennaio del 2016, per non andare più via; è quella che cambia le sue abitudini, il suo lavoro; è quella che lo porta a mettere nero su bianco la storia della sua vita, senza alcun filtro, senza alcuna maschera.
Narrazione tra ieri e oggi
Jonathan è cresciuto a Rozzano, un paesino vicino Milano, e non si vergogna di nascondere la sua provenienza, nonostante la fama della zona come il Bronx di Milano, in cui povertà e criminalità sono all’ordine del giorno, con gente e situazioni di cui chi vive in città non conosce nemmeno l’esistenza.
Attraverso una narrazione che alterna capitoli sulla sua infanzia e capitoli sul se stesso di oggi, Jonathan ci dice praticamente tutto: dal divorzio dei genitori, alle avventure libertine del padre, dal suo affetto per i nonni, e di come con loro sia normale parlare dialetto napoletano; ma non solo, perché Jonathan non è un bambino come gli altri: preferisce le bambole alle macchinine, ama le Spice Girls – e in generale ogni personaggio famoso di sesso femminile; è timido, introverso, condizione causata anche dal suo problema di balbuzie, che lo mette in estrema difficoltà anche se si tratta solo di leggere un testo davanti alla classe.
Cosa sono, cosa voglio essere? Sarò quello che posso, faccio finta che non sia la rinuncia più grande.
La spiacevole scoperta
Jonathan è un bambino, un ragazzo, un uomo, che nel gennaio 2016, dopo una febbre – una febbricola – che dura per settimane portandolo allo stremo delle forze, non permettendogli neanche di andare a lavoro, scopre di essere sieropositivo.
Non sa chi gli abbia potuto trasmettere la malattia, non sa come affrontarla, se non con la miriade di paure e ansie che improvvisamente lo assalgono. Cosa fare? Come ricomiciare a vivere, sapendo di coltivare in sé l’esatto contrario della vita?
È impossibile non immedesimarsi in lui, ripensando a tutte quelle volte che, con un mal di pancia, un mal di testa, ecco che diventiamo tutti ipocondriaci, lasciando che il saccente Google ci diagnostichi le più assurde malattie.
Parlarne diventa un punto di forza
Quando ci si trova davanti a un medico, però, e questo, senza neanche il coraggio di guardarti in faccia, ti da la brutta notizia, è tutto diverso. Nonostante il panico iniziale, la sua difficoltà ad affrontare gli altri, i suoi amici, i suoi familiari, il suo ambiente di lavoro, Jonathan riesce a non perdersi d’animo. Prende la malattia come un’occasione di rivalsa, di rinascita, e lo fa così, parlandone. Il libro Febbre, infatti, non è la prima testimonianza dell’autore sulla sua malattia: ne aveva già parlato in un articolo apparso su Gay.it qualche anno fa.
È sbagliato pensare che quello di cui stiamo parlando sia un libro sull’HIV . Febbre è per Jonathan un metodo per mettersi a nudo, una confessione, una biografia; è un libro su una persona, una persona che ha scoperto di aver contratto l’HIV e decide di dirlo a tutti, prima che gli altri lo facciano per lui.
Nel corso degli anni i miei amici mi hanno raccontato di conoscenti che avevano contratto il virus. L’hanno fatto senza chiedere il permesso, senza che gli interessati lo sapessero. Quella confidenza diventava poi la base per tutta una serie di congetture, non sempre rispettose. Diventava l’alibi per covare fantasie e preconcetti, per motivare e spiegarsi tratti caratteriali, reazioni scomposte. Per compatire, per denigrare.
Autobiografia come un diario
La peculiarità di questo libro è che si tratta di un’autobiografia sentita, vera, sincera, in cui l’autore non ha paura di svelarci i suoi pensieri, le sue fantasie, le sue paure, tutte cose che per lungo tempo erano rimaste sepolte nella sua testa. E sono pensieri di cui non c’è nulla di cui stupirsi, pensieri umani, che probabilmente tutti facciamo, ma che non abbiamo il coraggio di ammettere neanche a noi stessi, figurarsi agli altri.
E lo stile con cui lo fa è perfetto alla storia raccontata: frasi brevi, spezzate, punti e a capo. Proprio come se fossero pensieri che guizzano in testa di punto in bianco, e si sente la necessità di tirarli fuori, come se si stesse scrivendo un diario. Non ho trovato difficoltà né fastidio durante la lettura di questo libro, anzi, il tutto mi ha lasciato un senso di coerenza, di chiarezza, di sincerità.
La vita descritta in Febbre – esordio dell’autore, pubblicato con Fandango nel 2019 – è valsa a Jonathan Bazzi la candidatura fra i dodici finalisti del Premio Strega 2020. Per me, vale sicuramente la candidatura – non posso dire altro non avendo letto nessuno degli altri candidati. Ma sicuramente c’è anche da dire che non è un libro per tutti, potrebbe essere frainteso, non capito, considerato troppo spinto.
Io penso che sia un libro giovane, vero e quanto mai attuale. Parlare di sé con una tale scioltezza, far conoscere a tutti cosa, chi si nasconde dietro il nome di una malattia, è una scelta che richiede coraggio e determinazione. E potrebbe essere un modo per demolire tutti quei pregiudizi e preconcetti che si hanno su chi è costretto ad affrontare, in maniera più o meno grave, quel mostro che è l’HIV: persone, come noi.