In Premio Strega/ Recensione

Addio fantasmi – Nadia Terranova

“Una casa tra due mari”

Ida è una donna di trentasei anni sposata con Pietro, con il quale vive a Roma dopo essersi trasferita qui da Messina. Scrive, per un programma radiofonico, finte storie vere, come vengono chiamate: storie di persone, di relazioni completamente inventate, ma accomunate dal dolore che ne traspare.

Quel dolore che la protagonista di Addio fantasmi esprime nelle sue storie, è un dolore che lei conserva dentro da ben ventitré anni: da quando cioè suo padre, vittima di una depressione che lo costringeva a letto ormai da tempo, era scomparso. Una mattina, destato dalla consuetudinaria sveglia delle sei e sedici, aveva deciso di andare via, senza lasciare alcuna traccia.

La morte è un punto fermo, mentre la scomparsa è la mancanza di un punto, di qualsiasi segno di interpunzione alla fine delle parole. Chi scompare ridisegna il tempo, e un circolo di ossessioni avvolge chi sopravvive.

Lo stesso rapporto con suo marito Pietro appare asciutto, privo di un qualsiasi stimolo: le conversazioni sono minime, il desiderio spesso viene a mancare, e tutto questo sembra essere conseguenza inevitabile e scontata di anni di vita condivisa, diventata ormai abitudinaria.

All’apertura del romanzo Ida dovrà fare ritorno nella sua città natale, per aiutare la madre con dei lavori di ristrutturazione in quella casa in cui lei è cresciuta, e che presto verrà messa in vendita.

E questo ritorno equivale per Ida a un viaggio indietro nel tempo, a un ritorno non solo fisico ma anche psichico in quella casa che è stata, ed è ancora, teatro muto, di un dolore mai espresso.

Quel nome, quel corpo, quella voce

Il romanzo è articolato in tre parti: Il nome, Il corpo e La voce. Tutti e tre i titoli ruotano attorno alla figura del padre, Sebastiano Laquidara.  Ciò che lo mantiene in vita è una scatoletta rossa che Ida conserva segretamente nella stanza della sua infazia: al suo interno, teneva nascosti un nastro registrato di una festa di compleanno, e una pipa, da cui sembra ancora fuoriuscire l’odore del tabacco consumato decenni prima.

L’importanza degli oggetti è per la protagonista, infatti, maggiore di quella del corpo stesso: se una cosa è accaduta al corpo allora non è accaduta davvero. Una convinzione, questa, maturata nel corso degli anni in cui suo padre, il corpo di suo padre, era scomparso.

Via dalla trappola

Nella terza e ultima parte del romanzo, però, Ida si ritrova a scontrarsi con un altro tipo di dolore: quello degli altri.

Ha per la prima volta dopo anni un incontro con la sua amica di infanzia Sara, la quale le parla del proprio difficile percorso che ha visto, dopo un aborto, un tumore.

Si trova poi a tu per tu con Nikos, il ventenne che sta eseguendo insieme al padre i lavori a casa sua, che le confessa la storia del suo amore perduto e che deciderà per questo di mettere fine alla propria vita.

Riesce anche, in qualche modo, a confrontarsi con la madre, a sentire le ragioni di quel lungo silenzio, a capire che anche lei ha sofferto: come madre prima, durante gli anni della depressione del marito, e come moglie poi.

La liberazione di Ida avviene proprio con il suo disfarsi di quella scatola rossa che fino a quel momento aveva avidamente conservato e, così, di quel dolore fino ad ora taciuto:

Rido, e rido. Rido e finisce un’epoca nel rumore di un tuffo, nel mare che si apre e ingoia senza restituire. Rido e ancora rido, davanti a una tomba che so solo io; e il piccolo orologio al mio polso segna, finalmente, le sei e diciassette.

Candidato al Premio Strega 2019, Addio fantasmi è un romanzo introspettivo che riesce a catapultare il lettore in quella città, Messina, e in quella casa, in quel letto dove Ida viaggia nel tempo fra un “notturno” – così vengono suddivisi i giorni e le notti passate lì dalla protagonista – e l’altro.

Empatia

Grazie alla bravura dell’autrice, Nadia Terranova, che crea, come Ida fa per lavoro, una finta storia vera, ci si trova a provare per quest’ultima una certa empatia: venendo a conoscenza di episodi della sua vita che la tengono ancorata a emozioni fino ad allora inespresse, ci si sentirà suoi amici, complici, confidenti.

È difficile, a mio avviso, non condividere lo stato d’animo della protagonista – ancor più per chi ha vissuto in un ambiente familiare simile – andando avanti con la lettura. È difficile non immedesimarsi e non compatire quel dolore – il dolore dell’abbadono.

No, non si smette di amare qualcuno quando il suo nome e il suo corpo si sono sottratti: degli assenti ci portiamo dietro la voce e l’odore, le due tracce più volatili, sapremmo riconoscerle ovunque e ogni tanto ci pare di sentirle, e allora ci affezioniamo a ciò che ce le ha ricordate, uno spazio o una persona o un rumore.